venerdì 10 gennaio 2014

Verso Paraiso e la costa sud-occidentale (6 gennaio)

Oggi lasciamo Santo Domingo. Siamo dirette a Paraiso, una cittadina a ovest della costa sud, la parte forse meno turistica del Paese. Il nostro autobus parte alle 09.45, ma visto che dobbiamo comprare i biglietti, è meglio arrivare in anticipo. Dobbiamo anche prelevare un po’ di contante perché c’è un unico bancomat nella zona in cui ci stiamo dirigendo e non sempre è funzionante.

Dunque, sveglia alle sette, come ogni mattina da quando siamo arrivate (praticamente come se dovessimo andare in ufficio, ma devo ammettere che abbiamo molto più entusiasmo nell’alzarci) e prima delle 09.00 siamo già nella sala d’attesa della Caribe Tour.
L’autobus è il mezzo più usato dai Dominicani per muoversi all’interno del paese. Molti non possiedono l’automobile e, comunque, molte strade sono in pessime condizioni. Motivo per cui la gente attorno a noi è davvero variegata: famiglie, uomini con scatoloni di cartone che contengono merci varie e qualche sparuto turista fai da te.
La puzza di smog nella zona di imbarco è fortissima. I bus si avvicinano cinque minuti prima dell’orario di partenza, rimangono con il motore acceso, caricano passeggeri e bagagli e vanno. Non c’è un tabellone che indichi il numero dello stallo di partenza, i bus si fermano dove c’è posto, quindi bisogna informarsi.
Chiediamo ad un signore distinto di scattarci una foto. È gentile e ci raccomanda di stare attente.
“Non consegnate il vostro telefonino con facilità, potrebbero rubarvelo”.
Ci abbiamo pensato, è per questo che abbiamo scelto lui J
Il viaggio è lungo, circa 4 ore e mezza, e il panorama costiero è bello e selvaggio. Alla nostra sinistra l’oceano è battuto dal vento e le varie tonalità di indaco, azzurro, celeste sono puntellate dal bianco delle onde che si infrangono sulla costa. Dall’altro lato  la vegetazione è rigogliosa e tra gli alberi sono disseminate costruzioni più o meno fatiscenti, attorno alle quali la gente non sembra particolarmente indaffarata, mentre bambini seminudi si rincorrono ai margini della strada.
Vorrei provare a scrivere, ma la strada non è proprio diritta e se lo facessi rischierei di sentirmi male.
Così, ci godiamo il panorama, dando un’occhiata distratta ad un pessimo film d’azione americano dove gli attori sembrano tutti modelli e sono doppiati in spagnolo.
Nell’ultimo tratto di strada parliamo con una coppia seduta dietro di noi.  Lui è Micky,  un italo americano trasferito nell’Illinois a 15 anni e ora tornato a vivere nel suo Molise, con la nuova giovane moglie dominicana, dopo una carriera militare nell’esercito americano, una baby pensione ed un figlio lasciato negli States.
Sono in vacanza, Angela è di questa zona e, dunque, sono di casa. Anche loro ci raccomandano di stare attente, soprattutto ai bagagli e, una volta arrivati a Barahona, ci accompagnano fino alla fermata dei gua-guas (piccoli bus) per percorrere gli ultimi 35 km fino a Paraiso.
Ci spostiamo solo di qualche centinaio di metri, ma il caos regna sovrano. I marciapiedi sono invasi di gente e mercanzie varie, quindi siamo costrette a camminare praticamente in mezzo alla strada, tra auto malconce, motorini strombazzanti e camion puzzolenti.
Angela individua il nostro piccolo bus e prima di salutarci ci lascia il suo numero di telefono.
“se avete bisogno di aiuto, qualsiasi cosa, chiamateci. Qui ho la mia famiglia, vi daremo una mano”.
Ringraziamo e ci sistemiamo nel ben più scomodo sedile  per l’ultima mezz’ora di strada.
I gua-guas non hanno fermate fisse, praticamente si fermano dove si vuole, così “l’esattore” (è così che si chiama il tizio che riscuote il prezzo del biglietto) ci chiede dove dobbiamo scendere. Non abbiamo un indirizzo, quindi gli diciamo il centro della città. Ci guarda perplesso.
“donde?” Vuole un indirizzo o un’indicazione più precisa.
“officina turistica” gli rispondo, ricordandomi di aver letto di un’unica agenzia francese che organizza escursioni nella zona.
“ah, ecotour? Bien”
Quando scendiamo dal bus sono circa le tre del pomeriggio e fa un caldo pazzesco.
La ecotour è al primo piano di una palazzina malridotta, ma la porta è chiusa. Chiediamo informazioni al piano terra dove vive una famiglia e un ragazzino ci dice di aspettare.
Dopo qualche minuto un ragazzo dal balcone ci dice di salire. Johan è francese, biondo e neanche troppo abbronzato. Ci illustra le escursioni che la compagnia propone e i prezzi. Sono decisamente alti, anche perché al momento siamo le uniche turiste. Se vogliamo risparmiare ci consiglia di organizzarci da noi, ma sarà più faticoso raggiungere i posti.
Ringraziamo anche lui e gli chiediamo dove possiamo dormire.
“c’è proprio un albergo all’angolo, se volete vi accompagno”
Ci aiuta con le valigie e ci avviamo. Parla benissimo lo spagnolo, così gli chiedo da quanto tempo si trova lì.
Mi sorride “troppo tempo ormai”. Mi dice che ha una bambina di 16 mesi, ma ha l’aria di chi ha perso l’entusiasmo, almeno così mi pare.
Il “Kalibe” è una graziosa struttura a due piani con una piccola piscina non troppo pulita. Non c’è una reception e la famiglia proprietaria vive al primo piano.
Ci sistemiamo e decidiamo di andare a mangiare qualcosa.
L’albergo non ha cucina, o perlomeno in questo momento non funziona.
Ci dicono che possiamo provare nelle due caffetterie vicine.
Sono le quattro, siamo affamate e le caffetterie sono chiuse.
Nei dintorni non c’è assolutamente nulla che somigli ad un posto dove possiamo reperire generi alimentari, però a pochi passi c’è l’oceano con le sue innumerevoli sfumature che si infrange sulla spiaggia.
Si ferma un ragazzo con una moto e ci chiede se vogliamo un passaggio.
“no grazie. Poi siamo in due”
“vi porto lo stesso, qui non ci sono auto, solo moto”.
Non ci fidiamo, e poi non sapremmo dove andare. Ritorniamo all’albergo e chiediamo dove possiamo mangiare prima di svenire.
“c’è un posto dove sicuramente potete mangiare ma è lontano a piedi. Se volete vi chiamo un “concho” per arrivarci.
Non sappiamo cos’è un concho, ma abbiamo capito che è un mezzo di trasporto. Accettiamo.
Qualche minuto dopo vediamo presentarsi il ragazzo di prima con la sua moto.
“No! Ancora voi!” Ride.
“Ma siamo in due, non ci stiamo!”
Evidentemente le regole di omologazione dei veicoli sono molto diverse che da noi! Anche la ragazza che lo ha chiamato ci conferma che in quella zona non esistono taxi o auto, ma solo motoconcho, ed in tre si va tranquillamente, senza casco ovviamente!
Saliamo sul sellino, in fondo non stiamo scomode. Continuiamo a percorrere la strada costiera ed in meno di quindici minuti arriviamo a Los Patos.
Si tratta di un ruscello di acqua limpidissima  e calma sulle cui rive sono sistemati tavolini e sedie di plastica di proprietà dei vari ristorantini (poco più che baracche) che cucinano pesce fresco.
Finalmente si mangia! Ci sediamo in quello in cui vediamo più gente e, per aiutarci nella scelta la proprietaria ci accompagna dentro la baracca per mostrarci quello che a breve gusteremo.
Scegliamo un bel pesce rosa alla plancia (alla piastra), la polpa di granchio alla creola con contorno di riso bianco e banane fritte (ma quelle non dolci che somigliano alle patate).
Nell’attesa individuiamo accanto al nostro tavolo Stefano, un altro italiano con la moglie dominicana.
Anche loro sono in vacanza, hanno due bambine e tra qualche giorno torneranno a Varese!!!
Gli diciamo che vogliamo andare a visitare la baia de las aguilas, una delle spiagge più belle ed incontaminate del Paese, ma che non sappiamo bene come arrivarci.
“dovete prendere una gua-guas per Padernales, l’ultima cittadina a ridosso del confine con Haiti. Da lì poi dovete noleggiare un motoconcho che vi porti indietro fino a las cuevas e poi noleggiare una barca fino alla spiaggia. Potete raggiungere la spiaggia anche a piedi da las cuevas, ma impiegherete circa un’ora e mezza”.
“No grazie, meglio la barca. Ma è facile organizzarsi una volta giunte a Padernales?”
“Sì, i pochi turisti che arrivano vogliono tutti vedere la Baia. Comunque potete chiedere alla mia famiglia. Mio padre e mio fratello gestiscono il supermercato di Padernales, lo conoscono tutti. Ditegli che siete miei amici e vi troverà una sistemazione per dormire ed un buon passaggio per la cueva. Vi lascio il mio numero di telefono e la mail, in caso abbiate bisogno”.
Che gentili anche loro! Siamo all’avventura ma sempre fortunate!
Dopo aver riempito la pancia andiamo in giro a scattare qualche foto. Peccato non aver portato il costume, l’acqua del ruscello è davvero invitante.
Tra i tanti venditori ci sono anche alcune bimbe che vendono noccioline per pochi pesos.
“sono bambine haitiane” sentiamo dirci da dietro in italiano. “probabilmente hanno attraversato illegalmente il confine e adesso tentano di sopravvivere qui tra le colline dove vivono molti clandestini”.
Così cominciamo a chiacchierare con Olivia, bergamasca, in vacanza col marito, ospite di una coppia di amici, anche loro bergamaschi, che hanno comprato la casa per le vacanze lì, circa vent’anni prima.
Sono tutti molto simpatici e, ci tengono a sottolinearlo, non sono seguaci della lega nord, anzi amano il sud e soprattutto la Sicilia.
Il tempo passa velocemente raccontando un po’ di noi e ascoltando la loro esperienza ventennale nella Repubblica Dominicana e i loro consigli.
Si è quasi fatto buio ed il nostro autista è venuto a riprenderci, ma prima di andare via i nostri nuovi amici ci propongono di andare con loro il giorno seguente. Faranno una gita, con pic-nic annesso, fino ad una spiaggia vicina a quella che vogliamo visitare.
“non è la spiaggia di las aguilas, ma il mare è bello. Vi passiamo a prendere alle 8.20 ”
Accettiamo volentieri. Finalmente un giornata di puro relax in spiaggia!
Tornate a Paraiso pensiamo di prendere qualcosa per il pic nic. Ci indicano un negozietto piccolissimo, all’interno del quale si trovano già parecchi clienti. Ci mettiamo in fila e non possiamo fare a meno di notare quanto la vita in questo angolo di mondo sia differente rispetto alle città alle quali siamo abituati.
La spesa che qui si fa appare ridicola ai nostri occhi. Si compra una fetta spessa di una sorta di prosciutto, oppure due sigarette, o, ancora, due pannolini per neonati, una candela con dei fiammiferi. Tutto si vende sfuso.
Una ragazzina porta una bottiglietta da mezzo litro vuota che un giovane ragazzo obeso che serve al banco riempie con del liquido oleoso e trasperente (forse olio di palma che qui usano normalmente per friggere). L’ha riempita troppo e, dopo aver riportato il livello del liquido a metà, la restituisce alla ragazzina, dandole anche una mini tavoletta di burro (come quelle che si trovano negli alberghi la mattina per fare colazione). 
Siamo un po’ sconvolte. È il nostro turno, ma non c’è molto da comprare, così ci riforniamo solo di un gallone d’acqua (poco più di 4 litri). Visto il caldo ne avremo bisogno.
Saranno le nove, ma è buio pesto. Non esiste illuminazione pubblica in questa zona, anche perché a Paraiso la corrente va via in continuazione. Le moto dei giovani con i loro fari, tuttavia, continuano ad andare avanti e indietro per le strade cercando di fare colpo sulle ragazzine che passeggiano a gruppetti al buio. Certe usanze accomunano tutti i popoli a tutte le latitudini!



1 commento:

  1. Siete ancora in spiaggia a rilassarvi????
    Un salutone e.......continuate così :-)
    Paolo

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