Oggi
lasciamo Santo Domingo. Siamo dirette a Paraiso, una cittadina a ovest della
costa sud, la parte forse meno turistica del Paese. Il nostro autobus parte
alle 09.45, ma visto che dobbiamo comprare i biglietti, è meglio arrivare in
anticipo. Dobbiamo anche prelevare un po’ di contante perché c’è un unico
bancomat nella zona in cui ci stiamo dirigendo e non sempre è funzionante.
Dunque,
sveglia alle sette, come ogni mattina da quando siamo arrivate (praticamente come
se dovessimo andare in ufficio, ma devo ammettere che abbiamo molto più
entusiasmo nell’alzarci) e prima delle 09.00 siamo già nella sala d’attesa
della Caribe Tour.
L’autobus è
il mezzo più usato dai Dominicani per muoversi all’interno del paese. Molti non
possiedono l’automobile e, comunque, molte strade sono in pessime condizioni.
Motivo per cui la gente attorno a noi è davvero variegata: famiglie, uomini con
scatoloni di cartone che contengono merci varie e qualche sparuto turista fai
da te.
La puzza di
smog nella zona di imbarco è fortissima. I bus si avvicinano cinque minuti
prima dell’orario di partenza, rimangono con il motore acceso, caricano
passeggeri e bagagli e vanno. Non c’è un tabellone che indichi il numero dello
stallo di partenza, i bus si fermano dove c’è posto, quindi bisogna informarsi.
Chiediamo ad
un signore distinto di scattarci una foto. È gentile e ci raccomanda di stare
attente.
“Non
consegnate il vostro telefonino con facilità, potrebbero rubarvelo”.
Ci abbiamo
pensato, è per questo che abbiamo scelto lui J
Il viaggio è
lungo, circa 4 ore e mezza, e il panorama costiero è bello e selvaggio. Alla
nostra sinistra l’oceano è battuto dal vento e le varie tonalità di indaco,
azzurro, celeste sono puntellate dal bianco delle onde che si infrangono sulla
costa. Dall’altro lato la vegetazione è
rigogliosa e tra gli alberi sono disseminate costruzioni più o meno fatiscenti,
attorno alle quali la gente non sembra particolarmente indaffarata, mentre
bambini seminudi si rincorrono ai margini della strada.
Vorrei provare
a scrivere, ma la strada non è proprio diritta e se lo facessi rischierei di
sentirmi male.
Così, ci
godiamo il panorama, dando un’occhiata distratta ad un pessimo film d’azione
americano dove gli attori sembrano tutti modelli e sono doppiati in spagnolo.
Nell’ultimo
tratto di strada parliamo con una coppia seduta dietro di noi. Lui è Micky,
un italo americano trasferito nell’Illinois a 15 anni e ora tornato a
vivere nel suo Molise, con la nuova giovane moglie dominicana, dopo una
carriera militare nell’esercito americano, una baby pensione ed un figlio
lasciato negli States.
Sono in
vacanza, Angela è di questa zona e, dunque, sono di casa. Anche loro ci
raccomandano di stare attente, soprattutto ai bagagli e, una volta arrivati a Barahona,
ci accompagnano fino alla fermata dei gua-guas (piccoli bus) per percorrere gli
ultimi 35 km fino a Paraiso.
Ci spostiamo
solo di qualche centinaio di metri, ma il caos regna sovrano. I marciapiedi
sono invasi di gente e mercanzie varie, quindi siamo costrette a camminare
praticamente in mezzo alla strada, tra auto malconce, motorini strombazzanti e
camion puzzolenti.
Angela
individua il nostro piccolo bus e prima di salutarci ci lascia il suo numero di
telefono.
“se avete
bisogno di aiuto, qualsiasi cosa, chiamateci. Qui ho la mia famiglia, vi daremo
una mano”.
Ringraziamo
e ci sistemiamo nel ben più scomodo sedile per l’ultima mezz’ora di strada.
I gua-guas
non hanno fermate fisse, praticamente si fermano dove si vuole, così
“l’esattore” (è così che si chiama il tizio che riscuote il prezzo del
biglietto) ci chiede dove dobbiamo scendere. Non abbiamo un indirizzo, quindi
gli diciamo il centro della città. Ci guarda perplesso.
“donde?”
Vuole un indirizzo o un’indicazione più precisa.
“officina
turistica” gli rispondo, ricordandomi di aver letto di un’unica agenzia
francese che organizza escursioni nella zona.
“ah,
ecotour? Bien”
Quando
scendiamo dal bus sono circa le tre del pomeriggio e fa un caldo pazzesco.
La ecotour è
al primo piano di una palazzina malridotta, ma la porta è chiusa. Chiediamo
informazioni al piano terra dove vive una famiglia e un ragazzino ci dice di
aspettare.
Dopo qualche
minuto un ragazzo dal balcone ci dice di salire. Johan è francese, biondo e
neanche troppo abbronzato. Ci illustra le escursioni che la compagnia propone e
i prezzi. Sono decisamente alti, anche perché al momento siamo le uniche
turiste. Se vogliamo risparmiare ci consiglia di organizzarci da noi, ma sarà
più faticoso raggiungere i posti.
Ringraziamo
anche lui e gli chiediamo dove possiamo dormire.
“c’è proprio
un albergo all’angolo, se volete vi accompagno”
Ci aiuta con
le valigie e ci avviamo. Parla benissimo lo spagnolo, così gli chiedo da quanto
tempo si trova lì.
Mi sorride
“troppo tempo ormai”. Mi dice che ha una bambina di 16 mesi, ma ha l’aria di
chi ha perso l’entusiasmo, almeno così mi pare.
Il “Kalibe”
è una graziosa struttura a due piani con una piccola piscina non troppo pulita.
Non c’è una reception e la famiglia proprietaria vive al primo piano.
Ci
sistemiamo e decidiamo di andare a mangiare qualcosa.
L’albergo
non ha cucina, o perlomeno in questo momento non funziona.
Ci dicono
che possiamo provare nelle due caffetterie vicine.
Sono le
quattro, siamo affamate e le caffetterie sono chiuse.
Nei dintorni
non c’è assolutamente nulla che somigli ad un posto dove possiamo reperire
generi alimentari, però a pochi passi c’è l’oceano con le sue innumerevoli
sfumature che si infrange sulla spiaggia.
Si ferma un
ragazzo con una moto e ci chiede se vogliamo un passaggio.
“no grazie.
Poi siamo in due”
“vi porto lo
stesso, qui non ci sono auto, solo moto”.
Non ci
fidiamo, e poi non sapremmo dove andare. Ritorniamo all’albergo e chiediamo
dove possiamo mangiare prima di svenire.
“c’è un
posto dove sicuramente potete mangiare ma è lontano a piedi. Se volete vi
chiamo un “concho” per arrivarci.
Non sappiamo
cos’è un concho, ma abbiamo capito che è un mezzo di trasporto. Accettiamo.
Qualche
minuto dopo vediamo presentarsi il ragazzo di prima con la sua moto.
“No! Ancora
voi!” Ride.
“Ma siamo in
due, non ci stiamo!”
Evidentemente
le regole di omologazione dei veicoli sono molto diverse che da noi! Anche la
ragazza che lo ha chiamato ci conferma che in quella zona non esistono taxi o
auto, ma solo motoconcho, ed in tre si va tranquillamente, senza casco
ovviamente!
Saliamo sul
sellino, in fondo non stiamo scomode. Continuiamo a percorrere la strada
costiera ed in meno di quindici minuti arriviamo a Los Patos.
Si tratta di
un ruscello di acqua limpidissima e
calma sulle cui rive sono sistemati tavolini e sedie di plastica di proprietà
dei vari ristorantini (poco più che baracche) che cucinano pesce fresco.
Finalmente
si mangia! Ci sediamo in quello in cui vediamo più gente e, per aiutarci nella
scelta la proprietaria ci accompagna dentro la baracca per mostrarci quello che
a breve gusteremo.
Scegliamo un
bel pesce rosa alla plancia (alla piastra), la polpa di granchio alla creola
con contorno di riso bianco e banane fritte (ma quelle non dolci che somigliano
alle patate).
Nell’attesa
individuiamo accanto al nostro tavolo Stefano, un altro italiano con la moglie
dominicana.
Anche loro
sono in vacanza, hanno due bambine e tra qualche giorno torneranno a Varese!!!
Gli diciamo
che vogliamo andare a visitare la baia de las aguilas, una delle spiagge più
belle ed incontaminate del Paese, ma che non sappiamo bene come arrivarci.
“dovete
prendere una gua-guas per Padernales, l’ultima cittadina a ridosso del confine
con Haiti. Da lì poi dovete noleggiare un motoconcho che vi porti indietro fino
a las cuevas e poi noleggiare una barca fino alla spiaggia. Potete raggiungere
la spiaggia anche a piedi da las cuevas, ma impiegherete circa un’ora e mezza”.
“No grazie,
meglio la barca. Ma è facile organizzarsi una volta giunte a Padernales?”
“Sì, i pochi
turisti che arrivano vogliono tutti vedere la Baia. Comunque potete chiedere
alla mia famiglia. Mio padre e mio fratello gestiscono il supermercato di
Padernales, lo conoscono tutti. Ditegli che siete miei amici e vi troverà una
sistemazione per dormire ed un buon passaggio per la cueva. Vi lascio il mio
numero di telefono e la mail, in caso abbiate bisogno”.
Che gentili
anche loro! Siamo all’avventura ma sempre fortunate!
Dopo aver
riempito la pancia andiamo in giro a scattare qualche foto. Peccato non aver
portato il costume, l’acqua del ruscello è davvero invitante.
Tra i tanti
venditori ci sono anche alcune bimbe che vendono noccioline per pochi pesos.
“sono
bambine haitiane” sentiamo dirci da dietro in italiano. “probabilmente hanno
attraversato illegalmente il confine e adesso tentano di sopravvivere qui tra
le colline dove vivono molti clandestini”.
Così
cominciamo a chiacchierare con Olivia, bergamasca, in vacanza col marito,
ospite di una coppia di amici, anche loro bergamaschi, che hanno comprato la
casa per le vacanze lì, circa vent’anni prima.
Sono tutti
molto simpatici e, ci tengono a sottolinearlo, non sono seguaci della lega
nord, anzi amano il sud e soprattutto la Sicilia.
Il tempo
passa velocemente raccontando un po’ di noi e ascoltando la loro esperienza
ventennale nella Repubblica Dominicana e i loro consigli.
Si è quasi
fatto buio ed il nostro autista è venuto a riprenderci, ma prima di andare via
i nostri nuovi amici ci propongono di andare con loro il giorno seguente.
Faranno una gita, con pic-nic annesso, fino ad una spiaggia vicina a quella che
vogliamo visitare.
“non è la
spiaggia di las aguilas, ma il mare è bello. Vi passiamo a prendere alle 8.20 ”
Accettiamo
volentieri. Finalmente un giornata di puro relax in spiaggia!
Tornate a
Paraiso pensiamo di prendere qualcosa per il pic nic. Ci indicano un negozietto
piccolissimo, all’interno del quale si trovano già parecchi clienti. Ci
mettiamo in fila e non possiamo fare a meno di notare quanto la vita in questo
angolo di mondo sia differente rispetto alle città alle quali siamo abituati.
La spesa che
qui si fa appare ridicola ai nostri occhi. Si compra una fetta spessa di una
sorta di prosciutto, oppure due sigarette, o, ancora, due pannolini per
neonati, una candela con dei fiammiferi. Tutto si vende sfuso.
Una
ragazzina porta una bottiglietta da mezzo litro vuota che un giovane ragazzo
obeso che serve al banco riempie con del liquido oleoso e trasperente (forse
olio di palma che qui usano normalmente per friggere). L’ha riempita troppo e, dopo
aver riportato il livello del liquido a metà, la restituisce alla ragazzina,
dandole anche una mini tavoletta di burro (come quelle che si trovano negli
alberghi la mattina per fare colazione).
Siamo un po’
sconvolte. È il nostro turno, ma non c’è molto da comprare, così ci riforniamo
solo di un gallone d’acqua (poco più di 4 litri). Visto il caldo ne avremo
bisogno.
Saranno le
nove, ma è buio pesto. Non esiste illuminazione pubblica in questa zona, anche
perché a Paraiso la corrente va via in continuazione. Le moto dei giovani con i
loro fari, tuttavia, continuano ad andare avanti e indietro per le strade
cercando di fare colpo sulle ragazzine che passeggiano a gruppetti al buio.
Certe usanze accomunano tutti i popoli a tutte le latitudini!
Siete ancora in spiaggia a rilassarvi????
RispondiEliminaUn salutone e.......continuate così :-)
Paolo